Nessun incontro avviene per caso, forse neppure quelli che finiamo col maledire per il resto della vita. Siamo milioni di persone, eppure con quante anime avremo a che fare in questo nostro terreno peregrinare? Chi tra queste si rivelerà un esempio da seguire, un amico affidabile… e chi sarà una presenza fugace, che non ci lascerà nulla di buono se non l’insegnamento di ciò che non vorremo mai diventare? Matteo Pugliares per me era solo un frate cappuccino “incontrato” su un social, che come me leggeva e scriveva quando, colpita da un grave lutto familiare, aggrappata alla Fede per non soccombere al dolore, decisi di scrivergli in privato, su Facebook, in cerca di un ulteriore conforto, tra i conforti, per una tragedia che presto o tardi colpisce tutti e che, pur tra decine e decine di significati, resta il più grande e definitivo mistero della nostra esistenza.
Prendete la fantasia ed i suoi effetti curativi, fatene un’occupazione giornaliera e sentirete la vita più leggera. Aggiungete alla fantasia un pizzico di talento genuino ed essa vi regalerà piccole e grandi soddisfazioni; ricamateci attorno un paesaggio, dei personaggi, una storia e, complice chi ama l’arte, darete al mondo un piccolo grande capolavoro.
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Il mondo potrà dirsi privo di speranza solo quando un tramonto, il mare, un fiore o un’alba verranno guardati senza che questo susciti un commosso slancio di umana poesia.
Per la prima volta inizio un articolo con un mio aforisma, e me lo concedo perché io amo da sempre la Poesia, in modo viscerale.
Credo fermamente, come altri più famosi hanno pensato, scritto e detto nella storia dell’umanità, che essa salvi e che essa renda accessibili i più profondi significati della nostra esistenza. Ritengo che un pizzico di poesia alberghi in ogni cosa, bella, brutta, delicata o imponente che sia.
Alzi la mano chi, tra tutti voi, non è stato assalito da un incontenibile monito di delusione ogni volta che, avendo già letto ed amato un libro, ha fatto l’azzardato passo di andare a guardarne la trasposizione cinematografica; magari non sarà proprio successo ogni volta – Tolkien e le sue opere sono, almeno per la sottoscritta, una consolante eccezione – ma nella maggior parte dei casi, ahimè, è così.
Un libro, specie un libro che piace, diventa nostro e smette d’essere di chi l’ha scritto: tutto viene raccontato e descritto in un modo, ma ciascuno se lo disegna in testa a seconda della personalità, delle esperienze e delle emozioni che lo caratterizzano; i protagonisti, i luoghi ed il resto, sono ben definiti in chi ci propone una storia e spesso ben presentati – quando viene fatto – ma un personaggio immaginato da un lettore non sarà mai uguale allo stesso immaginato da cento altre persone.
Fatto il danno, visto il film e passato qualche giorno, della “brutta riuscita” – che, ribadisco, non è brutta proprio sempre – riusciamo a farcene una ragione: nella nostra testa tutto torna come abbiamo immaginato, e si va avanti con altre avventure letterarie.
La vita è la più grande avventura, nel bene e nel male; dona e toglie, regala sorrisi e mette alla prova, sparpaglia sul nostro sentiero petali profumati di felicità, rendendo meno pesanti le cadute nelle delusioni e nelle sconfitte comuni a tutti. Siamo fatti di limiti e difetti, siamo composti di orizzonti di luce e vocazioni.
Amo immensamente le vocazioni, temo di averlo detto e ridetto (o scritto e riscritto, se preferite). Sono gli strumenti di salvezza e difesa, il filo che unisce la nostra anima ai luoghi in cui essa ha vagato prima di essere confinata entro i limiti del corpo.
Una vocazione può fornirci tutto il senso di cui abbiamo bisogno per vivere, può risollevarci da un periodo non proprio felice, può prenderci per mano e salvarci.
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